“L’Hummus e il Medio Oriente”, un breve racconto da Gerusalemme

Blasco da Mompracem
3 min readSep 22, 2019

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«Nel 2000 studiavo qui. Nel mercato di Mahane Yehuda, dove stiamo per entrare adesso, c’era un attentato ogni settimana, in media trenta morti alla volta. La mia vita a quei tempi consisteva nell’andare all’università e poi rientrare dritto a casa. La Seconda Intifada era nella sua fase più calda e rovente. Vivevamo tutti nel terrore, una semplice azione quotidiana, come l’andare a comprare il pane, poteva significare l’ultima frase emessa dalla persona cara. Questo mercato era il centro di tutti gli abitanti di Gerusalemme, luogo ideale per i kamikaze palestinesi per fare propaganda. Seppur rigetto la violenza in ogni forma e difenderò sempre il mio paese, comprendo la loro rabbia e non riesco a condannarla. Da lì a poco Israele avrebbe costruito il muro con la West Bank e gli attentati sarebbero terminati. Oggi il mercato di Mahane Yehuda è una delle attrazioni turistiche principali della città.»

Sono le parole del mio amico Arseny, israeliano di origine russa, mentre ci inoltriamo nel miscuglio di odori, persone e colori del più grande mercato della città Santa. Banchi con piramidi di datteri, olive, uova, pomodori, melograni, peperoni, carni. È un trionfo continuo per l’olfatto che s’abitua al mutamento ogni metro. È l’estasi del gusto che supera ogni barriera ideologica in favore del nutrimento e del sapore.

Gerusalemme è una di quelle città nel mondo che non si può spiegare e raccontare con il semplice uso della ragione. In questa terra Santa ogni strada ripercorre una spiritualità differente, ogni angolo è colmo di passione e tragedia, ogni famiglia è portatrice di lutti e resistenza, ogni persona lotta per la propria causa, con ogni mezzo a disposizione. Per quanto i media ci trasmettano continuamente informazioni su questo luogo cruciale per gli equilibri del pianeta, metterci piede è un’altra cosa.

Errando per il mercato di Mahane Yehuda ci si rende conto di diversi aspetti dello Stato di Israele che non mi sarei aspettato, vi sono molti commercianti arabi con la loro pelle bruciata dal sole, un venditore di olive mi mostra la sua croce al petto, vi è anche qualche donna col velo che s’alterna ai soliti e indecenti turisti in bermuda e Canon al collo. Ci si potrebbe saziare con il semplice inebriarsi degli odori del cibo, ma nutrisi con un piatto completo è più salutare e duraturo. Entriamo in una bottega libanese.

L’hummus è uno dei piatti tipici di questa parte di mondo. In Italia ogni tanto si trova in forma essenziale da spalmare sopra una tartina, ma in Medio Oriente equivale alla nostra pasta, e si cucina nelle più svariate forme. Ogni menù ha almeno dieci maniere diverse di cucinarlo: con le melanzane, col melograno, coi fagioli, le fave, le lenticchie e oltre. Sempre accompagnato da una spruzzata di peperoncino e del prezzemolo tagliuzzato. Assaporo di gran gusto quello di melanzane, lo accompagno col pane arabo, il palato esplode in un estasi di sapori mediterranei. La cuoca libanese mi sorride soddisfatta, s’avvicina al tavolo in cerca di complimenti. Nel mentre scarpetto il piatto, e con la bocca mezza piena, le faccio segno che è buonissimo. Lei mi guarda orgogliosa, dicendomi che la cucina del suo paese è molto apprezzata in Israele, sembra proprio che il conflitto e l’odio trovino tregua di fronte un piatto comune.

Perché sì, per quanto si voglia far prevalere un’ideologia su un’altra, gli ortaggi e i frutti che crescono in queste terre sono gli stessi da entrambi i lati della frontiera. E quindi israeliani e arabi mangiano le stesse cose, e quindi la guerra e l’odio possono trovare pace e comunione solo in cucina.

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Written by Blasco da Mompracem

Un blog dedicato alla scrittura e alla letteratura di viaggio

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