Marrakech, un ricordo della Medina.
Entrammo nella medina da Jemaa el-Fnaa, la piazza più bella del mondo. C’erano i colori attesi, le grida dei venditori, infinite mercanzie d’ogni genere accatastate con ordine e devozione. Sguardi che ti seguono speranzosi, commercianti intenti a coinvolgerti. Curiosità e passo rapido, confidenze solo dove c’è sentimento. La merce non presenta né prezzi né etichette, tutto ha un valore affettivo qui, anche il commercio. Difficile da comprendere se si viene dalla pigra Europa dove tutto ha un ordine materialista e asensuale. In Marocco negoziare è un arte e il prezzo finale è un accordo spirituale, che muta in base alla persona, all’umore del giorno, alla gradualità del sole.
Arriviamo in un caravanserraglio riadibito a un immenso negozio di lampade. Vi saranno state almeno quattro camere piene con le forme più svariate di lanterne: da quelle che erano quasi miniature a quelle grandi come totem da porre al centro di grandi sale di culto religioso. Nello spazio all’entrata v’erano anche altre piccole camere dove gli artigiani lavoravano il ferro e altri materiali necessari all’assembramento delle lampade. Di fronte v’era un’erboristeria, bottega che qui funge da farmacia. I vari lavoratori diedero subito l’aspetto di essere una comunità, ci accolsero di gran cuore nordafricano e cominciammo a chiacchierare. Non era richiesto che comprassimo nulla, a loro non interessava. Sarà stata la stagione bassa ma vi erano pochi turisti, quindi poco lavoro, ma non sembravano aspetti di particolare rilevanza in Marocco. Parlammo di sufismo e del Barcellona di Messi, ci invitarono a bere il tè, una delle più alte onorificienze che si possano ricevere in questa parte del mondo.
In nostro onore andarono a chiamare un alchimista, figura antimoderna e disprezzata da una scienza rivolta solo all’accumulo di danaro, che umilmente si unì alla nostra conversazione. Era molto giovane e aveva la voce effemminata, parlava un buon inglese, portava dei pantaloni rosa e dei mocassini neri. Ci raccontava che non aveva i soldi per i libri ma che grazie a internet riusciva ad avere materiale da tutto il mondo. Tanti altri studiosi in giro per il pianeta gli mandavano dispense e tutto ciò che fosse necessario per approfondire questa materia trascendente e praticata da millenni ma che oggi, nella modernità progressista, è rilegata a studio esoterico e tenuta sempre distante dal dibattito scientifico.
Nel mentre il sole lentamente stava abbandonando i vicoli del suk. Il ticchettio dei passi degli avventori diminuiva e si andava verso la chiusura della medina, perché qui gli orari delle attività dei bazar sono legati alla luce naturale e non al calendario liberista della schiavitù moderna. Ma fu talmente piacevole l’incontro che ci invitarono a tornare il giorno dopo per pranzare insieme. Non ce lo facemmo dire due volte, i monumenti ci interessano ma passare delle ore in amicizia con gente così genuina è prediletto da chi intende il viaggio come un’attività dello spirito e non come caselle da riempire seguendo i dettami di guide asettiche e mercificatrici.
Arrivammo lì l’indomani che erano le undici del mattino. Accolti come due di famiglia ci rendemmo subito conto che avevamo portato una certa luce nella loro vita, come loro l’avevano portata dentro di noi, era un sentimento non detto ma sentito e condiviso, da tutti. Adesso non ricordo più i loro nomi, ma per sempre ricorderò la loro anima protesa alla fratellanza, in un approccio disinteressato con lo spirito posto al centro dell’esistenza. Mi sedetti con uno di loro a pulire fagioli e pelare patate. Stavo dando una mano a preparare il tajine. Era già sopra un fuoco molto lento, avevo la sensazione che quei ritmi seguivamo un’altra concezione del tempo rispetto a come lo intendiamo noi. Andai a comprare il pane, con un altro di loro, in un posto incavato in un antico palazzo che rimembrava un luogo abitativo dell’antica Babilonia. Si è sempre imbarazzati quando si viene introdotti dal nulla in posti del genere. Vi è una sopraffazione di sensazioni contrastanti che ti fanno stare rigido e in silenzio. Bisogna osservare provando a rimanere invisibile, radenti al muro cercando di mimetizzarsi con il suo colore scrostato. Tornammo chiacchierando alla nostra base, il tajine non era ancora pronto. Presi qualcosa dall’erborista, sicuro dell’olio di Argan, poi qualche altro prodotto, ma la gioia in quel momento era semplicemente parlare e sentirsi, almeno per quel giorno, uno di loro. Alle tre, con i crampi allo stomaco, era finalmente pronto il tajine. Lo mangiammo in sei persone, era vegetariano e il cibo si prendeva con il pane. Non c’erano neanche tovaglioli per pulirsi. Era buonissimo, il tutto costato pochi euro di materie prime, un lungo rito di preparazione e un consumo comunitario. Ripetuto nel quotidiano è uno di quei gesti che dà forma alla vita e fortifica l’anima di un popolo.
Tornò l’alchimista. Continuammo a parlare di pianeti e Darwin. Chissà perché in Marocco, in appena dieci giorni di viaggio, mi è capitato almeno tre volte di parlare di teoria dell’evoluzione. In Europa non mi è mai successo in tutta la vita. Eppure noi siamo laici e lì invece la religione è una componente fondamentale della vita, non dovrebbe essere il contrario? La verità, secondo me, è che nel nostro famigerato Occidente vige solo il nichilismo, e ogni forma di religiosità viene rilegata al vetusto e al retrogrado, quando in realtà siamo buoni solo a desiderare il consumo ossessivo di beni futili, e ridicolizziamo qualunque forma di spiritualità. Inoltre, mettiamo all’indice chiunque osi dubitare o metta in discussione la verità imposta come unica e assoluta dalla religione materialista del liberismo.
È ancora pomeriggio. È piacevole questo luogo che sentiamo sempre più come casa. Seguo da vicino un artigiano battere un martello sul ferro per dargli la forma richiesta. Un altro di loro fa una canna, che fumiamo tutti di gran cuore ridendo e sorseggiando un tè d’accompagnamento. Si parla sempre di calcio, che continua a essere il collante sociale più entusiasmante al mondo. Vorrei che non finissero mai certe giornate. Vorrei che il viaggio non abbia tempo. Ma ho imparato anche ad accontentarmi, e mi basta rievocare i ricordi per dargli una vita tesa al mio eterno.
Marrakech - Novembre 2016