Nell’Agrigento antituristica

Blasco da Mompracem
6 min readOct 12, 2021

--

Cortile Sanso

Sono sul treno che da Palermo mi porta ad Agrigento. Un percorso che taglia in due la Sicilia, ne attraversa le sue viscere, con paesaggi mistici che rimembrano lunghe cavalcate e uomini millenari. Il brullo della terra si alterna a colline multiformi che ondeggiano ma rimangono armoniose. Le stazioni sul tragitto hanno banchine di pochi metri, con casupole sormontate da un orologio ottocentesco. Il sole abbacina le insegne delle fermate, hanno dei nomi dolcissimi: Lercara, Roccapalumba, Cammarata, Aragona Caldare. È una tratta che stimola il pensiero lento e riecheggia memorie d’infanzia, è la magia del treno e dei paesaggi che soavi scorrono dai suoi finestrini.

Arrivo ad Agrigento. Ho solo lo zaino in spalla. Il check-in in hotel è alle tre del meriggio, è ancora mezzogiorno. Decido di andare a vedere subito l’osannata Valle dei Templi. Mentre attendo il bus che mi ci porti un giovine si avvicina e mi chiede: «Va alla Valle? È il luogo tipico dove si ammassano i turisti che vengono in questa città. Leggono a malapena le didascalie sotto i templi, scritte tra l’altro in archeologiese, si affrettano a scattare foto da condividere sui social, non sanno chi era Alexander Hardcastle, seguono alla lettera le imposizioni della Lonely Planet, cercano l’inanimato, devono solo riempire la tabella di marcia delle proprie ferie, pronti a fuggire altrove sorvolando sul contemporaneo e indifferenti ai contrasti magniloquenti del nostro Novecento. Mi chiamo Gesualdo, se vuoi ti porto in giro per i meandri della città, ti faccio scoprire le avanguardie del cemento e l’abbandono del sublime.»

Stazione Centrale - Agrigento

Lo guardo, sono incantato. Ha una parlata magnetica, porta dei bermuda scoloriti e una sgualcita maglia bianca. Ha uno sguardo fiducioso, un profilo greco, un’eleganza da aristocratico decaduto, pelle olivastra come chi vive solo di mare. Fiutando il mio interesse riprende in mano il discorso: «ad esempio questa splendida stazione che ha alle spalle è stata costruita negli anni Trenta del Novecento, faceva parte del processo della nascita della Città Nuova nel periodo fascista e fu costruita con i migliori crismi possibili per l’epoca: facciata dal richiamo romano, scalinate in marmo, lampadari in stile vittoriano. Eleganza, funzionalità ed eclettismo. Erano alcuni dei pilastri dell’architettura razionalista, anche in una città piccola e alle periferie dell’impero come Agrigento, con poche tratte giornaliere ieri come oggi, appena due, e un traffico di poche centinaia di persone nel quotidiano. Vuole fare questo giro con me?»

La memoria mi richiama una vecchia esperienza a Fez, in Marocco. È stato tanti anni fa, viaggiavo sempre da solo e un ragazzo mi prese la mano e mi convinse, con un italiano impastato con il francese e lo spagnolo, a seguirlo per conoscere i misteri della Medina, senza tappe turistiche come le concerie e i filatoi. Mi portò da un cugino che aveva un forno dove preparava il pane, e poi a vedere una partita di calcio tra ragazzini amici suoi dove mi fece fare l’arbitro. Al termine mi portò a casa di alcuni parenti a mangiare il tajine e mi diede dei legumi da sbucciare. Fu memorabile. Accettai la proposta.

«La Valle dei Templi è un capolavoro indiscutibile e una gran fonte di ricchezza per la città, fu un luogo magico ideato per la preghiera e la trascendenza dai greci, ma oggi è divenuto semplicemente un posto per consumatori geografici. A me non interessa in questa forma, io vivo la Valle nella sua essenza, in forma clandestina vi faccio i trekking nell’immenso parco, con la tenda mi ci accampo nei boschi circostanti, vi passo giornate intere a scovare antiche chiese rupestri, a seguire i pastori con il loro gregge, mentre i turisti visitano solo la Via Sacra. Con la scusa della sicurezza nulla si rende accessibile di questo sito se non ciò che può essere propagato a ripetizione dagli esperti di marketing. Io mi occupo di antiturismo, sono un seguace del sociologo francese Rodolphe Christin, e per me l’unico turismo accettabile è quello invisibile che non funziona commercialmente.»

Valle dei Templi

Dalla stazione saliamo per delle scalinate e ci fermiamo all’inizio della Via Atenea, il salotto buono della città, e il mio Cicerone mi fa notare come uno dei due edifici nobiliari portanti sia stato sventrato dall’abusivismo edilizio negli anni Sessanta: «questo è un tour che esalta il contrasto tra il cemento e il classicismo, tra il moderno e l’eterno, tra la depravazione speculativa della seconda parte del Novecento e l’equilibrio armonioso dei secoli passati. Qui tutto è stato ed è continuamente maltrattato, i cosiddetti palazzinara, in nome del progresso, hanno eretto cattedrali dell’osceno, mostri che di eco non hanno nulla, elevando l’orrendo a un unicum visivo in grado di far rivoltare le budella anche al più stolto degli uomini. Ciononostante qualcosa è rimasto intatto e una parte della città mantiene la sua identità millenaria ben salda nei suoi vicoli e nei suoi quartieri arabeggianti. I suoi cortili riecheggiano lo spirito del tempo, le sue scalinate sono floride di piante e gatti, i suoi pochi abitanti sono ancora in grado di dire “buongiorno” ai rari passanti. Questo è il nostro Centro Storico, è il cuore pulsante della nostra città. Sali in Vespa su, ti porto al Ràbato!»

In pochi minuti arriviamo, scorazzando con una dolce brezza mediterranea che ci accarezza il viso, alla Cattedrale di San Gerlando. «Qui parcheggiamo», dice Gesualdo, «la Chiesa è lì imperiale e maestosa, la puoi visitare in qualunque momento. Noi invece andremo a piedi in quella direzione, ripercorriamo il cammino della Via Crucis del Venerdì Santo. Ti porto al Ràbato il quartiere solenne della città, l’ultima zona della nostra urbe, quella vissuta per secoli dal popolo dei lavoratori. Il quartiere è stato in buona parte abbandonato dopo la frana del ’66, un evento traumatico per la città che è stato causato dall’eccessivo peso delle costruzioni in cemento che hanno messo a dura prova il terreno che non ha supportato ed è crollato. Ma avvenne un miracolo: il netturbino Francesco Farruggia, mentre lavorava al mattino presto, vide le prime crepe sui muri dei palazzi, riuscì ad avvisare gli abitanti e salvarli da morte certa. Adesso sono rimaste le rovine e le energie di un luogo dove le lancette del tempo si sono fermate, un segno divino che vuole immortalare la memoria e preservarla dai tentacoli demoniaci della modernità.»

Ci inoltriamo per dei sentieri magici, sono esterrefatto. La commozione ci accompagna mentre il silenzio ascolta i nostri passi. Poche parole da parte di Gesualdo, non servono. Molti palazzi sono in piena rovina, i tetti divelti dall’abbandono, le stradine piene di detriti. Poche persone vi vivono ancora, in parte sono immigrati, in parte locali che resistono. «Le guide non portano qui i turisti, si vergognano. Per loro Agrigento deve essere solo i luccichii della Valle. Io invece vengo qui a passeggiare, a volte a meditare. Erro per questi vicoli diroccati, ritrovo in queste stradine abbandonate la forza dei miei avi e degli uomini che hanno plasmato l’anima di questa città.»

Rabato

È quasi ora di pranzo, il sole è alto e la luce immaginifica. Sfumature mediorientali ci avvolgono, sembra di non essere. Prendiamo una breve discesa, altre case diroccate sulla nostra destra, timidi annunci di vendita alle porte. «Sono lì da decenni» mi dice Gesualdo «puoi comprare queste case per poche migliaia di euro, poi ne dovresti spendere tanti per ristrutturarle. Nessuno però è interessato a vivere in questa zona, troppo fuori dal contesto sociale, è solo per visionari e uomini d’animo antimoderno.»

Arriviamo in Piazza Santa Croce, «la più bella di tutte» sentenzia il mio accompagnatore, «sembra uscita da un romanzo sciasciano». La sua Chiesa ha un ché di perentorio, quasi a indicare l’apice dell’amore, rasenta il sublime. Alcuni bambini si rincorrono in lontananza con le bici mentre un dolce profumo di sugo aleggia tra i vicoli. Mi guardo intorno, tutto sembra sospeso in un divenire immobile.

Piazza Santa Croce — Rabato

--

--

Blasco da Mompracem
Blasco da Mompracem

Written by Blasco da Mompracem

Un blog dedicato alla scrittura e alla letteratura di viaggio

Responses (1)