Palazzolo Acreide, barocco e divinazione.

Blasco da Mompracem
7 min readNov 28, 2023

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Ci sono stato pochi mesi addietro, ma il suo richiamo risale a molti anni fa, forse dieci, un po’ meno. M’ero perso nei meandri dell’entroterra ragusano. Finii qui, non so perché. In una piazza di sfavillante luce bianca. Diedi solo uno sguardo rapido. Promisi di tornare. Ne è passato di tempo, ma ora sono qui, in un ottobre che sembra ancora giugno dell’anno ’23, millennio Duemila.

Ci si arriva lungo una strada rapida e rigogliosa di verdi tonici. Tra mucche e pecore i muretti a secco accompagnano in mezzo una valle di pale eoliche. L’aria differisce dal sud agro, sembra esserci maggiore clorofilla, quasi un suono d’Irlanda. È Val di Noto, la zona che ha un maggior richiamo di Sicilia. Rinomato per il suo Barocco che ammalia da quanto sia inamidato, il paese s’erge di borgo e il cortile si chiama ronco. La sua quiete si percepisce istantanea: poca frenesia, cemento minimale, quasi impercettibile. È ancora il gioiello post terremoto secentesco, una modernità soffice si manifesta solo per la presenza di rade autovetture, mai troppo ossessive. Chiese d’Unesco fregio attirano avventori che rimangono ipnotizzati dalla solenne sublimità di questi templi del culto cristiano. Ma il Palazzo Lombardo-Cafici non ha un valore inferiore, seppur espressione umana e non divina: la balconata barocca con ventisette mascheroni tutti in differente forma è la più lunga di Sicilia, uno spettacolo mozzafiato per chi si diverte a osservarne le singole sfumature. Facile frustrarsi con le foto: puoi prenderle tutte ma non emergono i particolari, se invece ne capti un gruppo pensi di non riuscire a dare il senso di profondità, anche se ne esalti le minime smorfie. Linguacce e bocche strane: all’ingiù, all’insù, a otto coricato, sempre con gote paffute e sguardo vispo e scuro. Il pian terreno pare dirupato, testimone d’un tempo che fu e non vuole rinnovarsi. Le finestre del primo sono invece vive, danno ancora l’impressione di reggere il peso di un’armonia decorosa e secolare.

Balconata Palazzo Lombardo- Cafici

Inoltrandoci per il paese si vede qualche turista. Degli inglesi sorridenti bevono birre, la loro pelle chiara sembra in perfetta simbiosi con il pietrisco di questo lembo di sud-est. I palazzi di Palazzolo son tutti soffici, quasi d’una fiaba moresca, e il suo acciottolato stradale dirige a piazze che riempiono cuore e visione. Come la prima che ci appare, con la medievale Chiesa Madre di San Nicolò da un alto, poi ricostruita con le stesse sembianze dopo il terremoto, e la Basilica di San Paolo, tra le più alte magnificenze di tutta la zona, dall’altro. Tutt’intorno è vuoto, i portoni delle chiese sono chiusi. Si possono ammirare solo così, esaltandone l’immaginifico, rifiutandoci di vederla in festa da uno schermo. Preferiamo il racconto e la sensazione, ci basta questo per riempirci.

Passeggiare è qui degno. Si sente il mito di Sicilia, che in quest’Isola assorbe il continente e l’universalità, rimanendo sempre un unicum che non si riesce a incamerare nelle gabbie della ragione. E l’eleganza è qui soave, mentre le strade si inerpicano in labirinti che invitano al passo con le braccia dietro la schiena. E dai vicoli sgorghi a panorami di vegetazione inebriante, e immagini antichi cavalieri attraversare lande piene di contadini in fustagno, piegati nella raccolta ma sempre fieri di d’appartenere a una radice. E il terremoto diventa nuova sorgente di luce, che ridà lustro alla creazione ma non spazio alla speculazione. Così fu qui, così fu nella Messina post Otto, così non fu altrove dove il cemento divenne la missione. Come nel Belice, eclatante simbolo dell’anti-estetismo, dove il terremoto non fu più simbolo di divino segno e ingegno ma di violenta espressione individualista. Qui, invece, si percepisce con con tangibile sacralità come il dramma dell’annientamento diventi forza per spiriti indomiti. Nel mondo odierno e liberale nulla di tutto ciò rimane, è il Resort la ricostruzione, il consumismo la sua ossessione. Il cemento è sgretolamento, la democratizzazione è omologazione, la costruzione merce, il gusto efficienza. L’artigiano è sepolto, in suo luogo v’è l’arraffone. Ma non qui, non a Palazzolo. Qui gli uomini hanno preservato l’estetica, e la loro tragedia è diventata la loro forza, e senza il terremoto tutto il sud-est non sarebbe la più splendente tra le cento Sicilie.

I tetti di Palazzolo Acreide

A Palazzolo ci sono delle cose bellissime, che si susseguono lungo tutto il suo reticolato: il bianco scamosciato dei palazzi con i portali curati, alcune mura di tonicità blu, rosso e rosellino, vicine in sobrietà, mai in contrasto. E la strada che porta alla Basilica di San Sebastiano ha sembianze napoleoniche, con caffè da Belle Époque e portici imperiali. San Sebastiano è maestosa fin dalle sue scale, ma entrarvi è imbarazzante se non v’è Messa, perché le luci sono spente ed è tutto troppo scuro e passa la voglia. Devi pagare per avere acceso, e la Chiesa queste cose non dovrebbe permetterle, mica è un museo. Ma va da sé che ne apprezzo di più la vista esterna su una superba Piazza del Popolo, con la sua facciata che si riflette nell’altra facciata, quella del Municipio, che rimane raggiante nonostante il cielo plumbeo che increspa ma non deprime.

Palazzolo Acreide

C’è qualcosa però che ancora Palazzolo non è riuscita a far conoscere come dovrebbe, nonostante sia qualcosa di unico e glorioso: è il Museo dei viaggiatori di Sicilia (o del Grand Tour come piace chiamarlo ai più). Ubicato nel pieno del centro storico, al pian terreno di un aristocratico palazzo ottocentesco - Palazzo Vaccaro - s’erge quest’ampia sala allestita di teche che conservano cimeli sacri della narrativa odeporica di Sicilia. Cartografie, incisioni originali, manuali rari e rappresentazioni di paesaggi i più svariati, vedute a volo d’uccello, vestigie archeologiche, monumenti e paesaggi naturalistici che ancora frusciano alla vista. D’aspetto scuro e serioso, il progetto museografico narra dei Voyages settecenteschi in Sicilia degli illustri francesi Jean-Claude de Saint-Non e Jean Houël, artisti polivalenti d’Oltralpe, che han seguito il messaggio di Goethe alla ricerca della spiritualità sicula richiamante il greco ma, più in generale, l’identità mediterranea come “chiave di tutto”. Un museo vivo, perché testimonia l’essenza del viaggio che era lo studio, la lentezza, il confronto e l’incisione nel tempo. Unico nel genere si visita in una mezz’ora di attenzione concreta, e quando ne esci rimane un ricordo vibrante che si riflette, e si contrappone, al significato del viaggio odierno, legato al consumo e all’accoglienza mercificata. Persi i maestri ci accontentiamo dei loro testamenti. Noi, feroci sostenitori del viaggio come incontro e rivelazione, ricerchiamo negli scrittori del Grand Tour nuovi stimoli per descrivere il mondo che esploriamo. Loro incidevano, trasmettevano, divulgavano. Noi seguiamo, fotografiamo, condividiamo. Visibilità è la parola d’ordine, non v’è più curiosità ma solo soddisfazione. Non v’è più enigma, non v’è più referenza, v’è solo ostentazione e qualità del servizio. E questo piccolo museo ci ricorda invece che la conoscenza è disciplina e il viaggio fortificazione, perché visitare l’Isola significa incontrare la Storia in una dimensione tesa all’Universale.

Jean Houel, Museo dei Viaggiatori di Palazzolo Acreide

L’ora s’è fatta tarda. Anche se ancora un raggio di luce dora un ennesimo balcone rigoglioso di decorazioni sublimi. Mi disseto su una piazza prima di rimettermi in viaggio attraverso gli astrusi insediamenti infrastrutturali di Sicilia. La piazza è ancora piazza, ai bar è riservato pochissimo spazio per i loro tavolini. Due bambini vi giocano scalciando d’ampi lanci, lampioni comunali baroccheggiano d’arcuo rovesciato. Alcuni anziani osservano il giuoco degli infanti seduti sulle loro panchine col mento appoggiato al manico del bastone, mentre cinguettii di volatili leggiadri indicano che il giorno sta per lasciare spazio alla sua seconda dimensione. Ammiro tutto ciò, mi nutro di questi momenti. La Sicilia è ancora un luogo che stimola l’immaginario grazie alla sua trazione che ricerca inconsciamente l’ancestrale, mentre mostra indifferenza al progresso inteso come frenesia ed accumulazione. Qui il passo è lento, e la patria diventa un sentimento che si scosta dal suo significato politico per interiorizzarsi in quello spirituale. La Sicilia rimane il fulcro del Mediterraneo, e la sua conoscenza è un cammino che si intraprende e troverà gloria solo nella trasmissione della volontà e non nel raggiungimento dell’obiettivo. La Sicilia è ancora oggi, e sempre lo sarà, la “chiave di tutto”.

Una piazza a Palazzolo Acreide

Palazzolo Acreide - Ottobre 2023

Roberto Bruccoleri

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Written by Blasco da Mompracem

Un blog dedicato alla scrittura e alla letteratura di viaggio

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