Passo Funnuto, un oceano di entroterra di Sicilia

Blasco da Mompracem
8 min readNov 21, 2023

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Novembre è un mese di stupore. Un periodo dell’anno che esalta gli animi per le sue temperature più che primaverili e per quella luce così nitida che dà ai paesaggi contorni magnifici. Quando nel resto del paese s’alza la nebbia e si tirano fuori le pellicce, da noi ancora prosegue una stagione che supera l’estate ma ne mantiene il tepore, non più di sole furioso ma di calore armonioso.

È il periodo adatto al trekking, per andare alla scoperta dei luoghi nascosti dietro quelle montagne che vediamo dalle strade. Inaccessibili per le sue temperature infuocate da maggio a ottobre, diventano accoglienti in giornate come quella di oggi - domenica 19 novembre 2023 - dove il sole alto e perpetuo incute serenità fin dalle prime ore del mattino.

Archeotrekking Tours è un gruppo di professionisti del turismo di Agrigento. I suoi membri - guide turistiche, skipper e operatori specializzati - in alta stagione lavorano vorticosamente con i flussi di viaggiatori; da novembre a marzo invece si dedicano alla divulgazione con i locali, facendo conoscere le terre e i luoghi più prossimi agli agrigentini, offrendo loro possibilità esplorative a pochi passi da casa. Non hanno mai sbagliato un colpo da quando li conosco, e il loro seguito aumenta di volta in volta, perché la voce si sparge e l’arricchimento è tangibile in chi partecipa.

Per oggi propongono un trekking a Passo Funnuto, in mezzo a valli incastonate tra i borghi medievali di Comitini, Sutera e Casteltermini. Ma in realtà siamo in territorio di Milena che è provincia di Caltanissetta. I confini sono labili in questi eremi, le due provincie tendono a uniformarsi vista anche la storia comune di miniere e zolfo. Ma non qui, perché i milucchisi (antico nome degli abitanti di Milocca che mutò la sua denominazione in Milena nel periodo fascista) erano tutti contadini, e di zolfo ne percepivano appena il sentore dai lamenti dei paesi vicini. Ne parla Leonardo Sciascia in “Occhio di capra”, descrivendoli come dei campagnoli che andavano a Racalmuto a vendere il frumento, e dal ricavato compravano fustagni e velluti. Per loro i racalmutesi alzavano sempre i prezzi perché li consideravano di ogni cosa ignoranti. Tanto avevano l’aspetto di braccianti che — scrive Sciascia — Racalmuto coi milocchesi la faceva da città.

Il percorso inizia dopo aver parcheggiato le macchine su uno spiazzale della strada Agrigento - Palermo, ad appena quindici minuti dal nostro capoluogo. La statale è in perenne lavorazione da molti lustri, ma offre una vista paesaggistica tra le più pure che si possano ancora trovare in Sicilia: montagne scure e protettrici, scorci di fiume Platani che si insinuano in una terra che profuma ancora di creato, distese di vegetazione brulla e sconfinata, con un cielo terso di un azzurro mai visto prima a far da quinta scenica divina.

Gli scarponi sono ben allacciati, il bastone un compagno fedele, l’abbigliamento a strati è una necessità. Zone d’ombra più fresche, poi si monta e ci si spoglia. Dopo poche centinaia di metri in salita ci voltiamo: davanti a noi la valle prende sembianze celestiali. Proviamo a fare una foto ma ci rendiamo subito conto che nessun obiettivo può cogliere le sensazioni che emana questo paesaggio. È uno stupore misto a un richiamo che non capiamo ma che percepiamo. La modernità ha annientato - con la sua frenesia, la sua tecnica e il suo cemento - la nostra necessaria ricerca di equilibrio con la sacralità degli elementi e i colori del divino.

La giornata è magnifica, il gruppo allegro, la guida eccelsa. Ci inoltriamo per sentieri che sprigionano concordia. Ammirando questi luoghi ne apprendiamo la storia, che parte dal Neolitico, seimila anni prima di Cristo, e arriva al contemporaneo. Fa un certo effetto realizzare di star camminando su luoghi così antichi, di paesaggi prebiblici, di uomini dalle sembianze che non riusciamo a immaginare. Marco, la guida, coglie cocci da terra, li ripulisce a mano e ne mostra le fattezze, la resistenza, il materiale leggero e duraturo. La sua saggezza riesce a intersecare la geologia con la storia, l’agricoltura con l’archeologia, la letteratura con la rievocazione. Il sentiero va verso su, la vegetazione è una tela, non presenta errori né intoppi, mette a proprio agio il viandante. Diceva Giorgio Manganelli - in Viaggio in Africa - che nella profondità del continente nero, i templi e le cattedrali sono le savane e le foreste immersi in paesaggi senza confine. Siamo felici di essere qui oggi. Non c’è frastuono intorno, né spazzatura, né rabbia, né idiozia. La luce di novembre è soave, tolgo gli occhiali da sole così da potermi iniettare meglio questa radiazione di energia illimitata.

Il cammino brucia energia, spurga i fumi della città. Incontriamo un sentiero pietrificato di grigio, i suoi cretti sono linee che rievocano ere geologiche. Ci troviamo di fronte una macaluba, vulcanello d’argilla molto diffuso in questo territorio. Il pensiero non può che andare alla tragedia del 2015 quando, nella più famosa dell’area sita ad Aragona, due bambini persero la vita sepolti da un getto inaspettato di questa furente forza della natura che sembra sopirsi ma vive anche quando sembra addomesticata. Un fenomeno naturale che trova nel magma della terra la sua dirompenza. Fu un momento che scioccò la comunità e che ancora si fa fatica ad accettare. Ma la natura è così, non ha amici né sentimenti, vive di un equilibrio non razionale che segue solo gli equilibri cosmici.

Macalube

La salita tonifica. Accompagnati da alberi che inebriano i polmoni con la loro clorofilla, giungiamo a un promontorio dove la valle si estende per viatici solenni: macchia mediterranea, verdi fiorenti, sentieri lunari. Fin quando non s’apre di fronte a noi un vero e immenso mare di terra: una distesa infinita d’un brullo afgano con colline all’orizzonte dove emergono i borghi di Sutera e Mussomeli con il Castello Manfredonico a intervallarsi tra di loro. Una visione magica, ipnotica, quasi surreale. Sono questi i momenti in cui pensi alla banalità dell’arte, alla sua presunzione, alla volgarità della linea retta. Mentre osservo la sontuosità di quanto ho davanti gli occhi, alcuni rumori di motori sgasanti rompono l’armonia, sono i motocrossisti che qui vengono ad esercitarsi. Passano furenti e salutano, li vediamo scorazzare in mezzo a questi sentieri che mettono alla prova il loro coraggio e la loro adrenalina. Gente folle sì, ma cosa sia la normalità ancora non l’ho capito.

Le montagne sembrano rigate da un disegno divino, millenni e sole imperterrito ne hanno plasmato questa forma che non ha un perché né una spiegazione. È un arabesco munifico, che non ti stanchi mai di guardare e che nel mentre ti inebria di una forza ancestrale. Giungiamo al punto più alto, da lì si estende il Passo Funnutu. La sua storia precede il concetto stesso di Storia, risale a tempi dove è necessario anteporre l’homo all’era che si vuole indicare. Marco si sbraccia e coi bastoni fa segni sulla terra per spiegare dove erano situati gli insediamenti di un tempo che si conta con un pallottoliere a forma di migliaia d’anni. Fino ai tempi più recenti che arrivano alla Seconda guerra mondiale quando gli Alleati - appena sbarcati in Sicilia - marciando verso Palermo elargendo coi sorrisi caramelle ai contadini, si trovarono in mezzo a una resistenza inaspettata da parte di un gruppo di Camice nere che rimaneva fedele al regime. I resistenti riuscirono a respingere l’attacco americano per una giornata intera con mitragliatrici e cannoni, poi la notte scapparono ché gli americani avevano chiamato rinforzi. Una scena che richiama le pagine de Il Grande Gioco di Peter Hopkirk, quando gli eserciti inglesi ottocenteschi si trovavano le imboscate degli indigeni tra le gole desertiche dell’Asia Centrale.

il marre di terra

Ammaliati e rinvigoriti iniziamo il percorso in discesa. Piante inconsapevoli fuoriescono da un terreno arido mentre le rocce brillantano sali. L’universo è un incantesimo che si esprime in silenzio, con la mera osservazione e la muta introspezione. Un’atmosfera gioviale si è diffusa nel gruppo, siamo in cammino da tante ore ma la fatica si dissolve nella chiacchiera e nell’assorbimento di una luce che tempra.

A robba è un antico termine siciliano che indica un villaggio, un piccolo insediamento contadino. Erano molto diffusi in questo lembo d’entroterra siculo, a Milena ve n’erano tredici e ognuno contava non più di un pungo di famiglie che vi viveva. La loro vita quotidiana era dedita alla cura degli animali e della campagna, ai ritmi lenti che seguivano lo scandire delle stagioni. D’un tratto ci troviamo al centro di questo avamposto rievocante un tempo perduto, una società oggi annullata dalla modernità che ha spinto il contado verso i centri urbani. Una chiesetta piccola e soave, luogo di culto del parroco itinerante che aveva il compito di diffondere il Verbo anche in questi luoghi sperduti, si palesa lungo il cammino. Il nostro stupore è contagioso, la ammiriamo nella sua semplicità, nella sua ricerca di concordia con il paesaggio. Girando lo sguardo vediamo a robba spagnolo, questo il nome del villaggio dove ci troviamo, nel suo insieme d’abbandono. Ci inoltriamo tra le sue erbacce e le sue pietre cadute, giungiamo al suo epicentro. I tetti sono tutti spariti, divorati dall’abbandono, mentre i locali delle stalle portano ancora le stigmate delle sue funzioni: porte larghe per gli animali più massicci e ganci al muro per legarli. Ma la sua pietra è ancora forte, probabilmente riutilizzabile, di sicuro commovente. Camminare per queste macerie dà una sensazione di visione ed eterno, le sue rovine sono il simbolo di un mondo perduto ma sempre vivo, come in un racconto di Lovecraft che ci porta negli abissi degli oceani e scovare città mistiche che perpetuano il respiro nonostante la sepoltura. Vaghiamo per la robba immaginando la vita che qui fu un tempo, la semplicità dei suoi sentimenti e dei suoi legami.

A robba spagnolo

È tempo d’andare, ci avviamo verso il percorso di ritorno. Perché siamo così felici quando ci ritroviamo in questi luoghi, noi gente antropizzata fino al midollo, è il grande mistero del nostro tempo. Forse, dovremmo cominciare far meno uso della ragione e utilizzare di più i sensi senza la pretesa di trovare, per forza, una spiegazione a ogni cosa. In fondo siamo fatti di spirito e solo il contatto con gli elementi della natura può ridarcene una piena consapevolezza.

Roberto Bruccoleri

19 novembre 2023

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Written by Blasco da Mompracem

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