Punta Bianca, eremo del Mediterraneo.

Blasco da Mompracem
5 min readApr 25, 2023

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Da quando sono tornato a vivere in Sicilia - ormai tre anni fa - Punta Bianca è uno dei luoghi che prediligo: d’estate l’ho a due passi, d’inverno chiude il panorama dalla vista idilliaca dalla casa dove vivo in città. È un puro richiamo di frontiera. Sembra che oltre non si sappia cosa ci sia, ma qualcosa comunque attrae, saranno forze ancestrali che richiamano lo spirito dell’eterno, o quel blu infinito che ti capta e accompagna a ogni sguardo. Oggi è il 25 aprile, avevo voglia di stare in mezzo la natura a inebriarmi degli elementi della mia terra, lontano dall’urbe e dalla nauseante retorica della Liberazione. La giornata è fosca, il sole timido si palesa a tratti tra le nuvole. Metto gli scarponi da trekking, prendo due litri d’acqua, un taccuino e mezzo panino con la mortadella. Vorrei riprovare a fare il percorso del Principe che da Punta Bianca porta al Castello chiaramontano di Palma. Lo feci diversi anni fa, impiegai cinque ore tra andare e tornare, fu una delle giornate più inebrianti della mia vita.

Quest’anno ancora non ero andato. La strada è stata in parte sistemata, il rischio di forare le gomme è diminuito anche se è sempre vivo. Ho sempre sperato che non sviluppassero quel sentiero così da preservare Punta Bianca dalle invasioni di turisti a cui abbiamo già consegnato la Scala dei Turchi, uno dei luoghi più belli del mondo che noi non viviamo più. Ancora comunque rimane in un piacevole stato selvaggio. La vegetazione è imponente, l’azzurro comincia a imporsi man mano sempre più dirompente. Parcheggio e scendo. È sempre lì la marna, con quella sua forma così plasmante di millenni, irreplicabile ai dettami della tecnica che può solo inchinarsi di fronte a cotanta perfezione divina.

Mediterraneo,

luce perpetua,

che inonda lo spirito,

in qualunque stagione,

di qualsiasi colore.

Mediterraneo,

fondamento del Sacro,

fulcro della conoscenza,

timone sensitivo,

riferimento dell’eterno.

Un po’ di tempo fa scrissi una poesia sul Mediterraneo. Era una giornata di burrasca, il vento entrava dalle insenature delle finestre. Fu lì che compresi definitivamente il carattere spirituale del Mediterraneo, la sua forza sensoriale, i suoi richiami tesi all’eterno. Fu in quel momento che capii che non potevo più vivere senza la sua egemonia, senza la sua essenza, senza la sua magnificenza. Da allora il Mediterraneo è diventato il riferimento del mio quotidiano. Ho bisogno di vederlo, sentirlo, assimilarlo, come una preghiera, come una divinità, ogni giorno, se possibile anche la notte. È la luce del mio cammino, senza non saprei più dove andare, cosa fare, chi osannare.

M’avvio per il sentiero sterrato. Mi lascio alle spalle il fortino della guerra mentre il paesaggio alterna richiami di deserti afgani a montagne rigogliose di verdi primaverili. Cretti, minuscole margherite e pale di fico lungo l’itinere, il passo dello scarpone da trekking riecheggia in un suono soave accompagnato dall’ondulare del mare, dal fruscio della vegetazione e dall’armonia del cinguettio dei volatili. Comincio a salire, il percorso del Principe è in quella direzione. Giro lo sguardo, ammiro il mare e un paesaggio mistico. Tutto tende all’indefinito mentre l’anima si alimenta d’ energia, non c’è altra spiegazione: la natura è Dio!

Mediterraneo,

senso dell’orizzonte,

acqua rigenerante,

rinvigorisci la terra,

mentre la inondi di trascendenza.

Mediterraneo,

faro di popoli,

indirizzi il cuore,

lo radichi nei legami,

in un sangue senza tempo.

Il Castello diventa la bussola, ma spesso non ci sono sentieri tracciati. Bisogna attraversare la vegetazione fitta, e per fortuna ho messo i pantaloni lunghi perché spine e aculei traforano i tessuti. Ci sono delle case, rare, ma ci sono. Sembrano abbandonate, i loro cancelli sono chiusi da lucchetti arrugginiti. I loro giardini non sono più curati, qualche finestra ancora regge ma in generale non danno un’immagine salutare. Proseguo l’andare, suoni impercettibili di guizzi di lucertole. Qualcosa di nero striscia rapido e s’immerge nella vegetazione. Poi d’un tratto trionfa un giallo imperiale prima di dover attraversare il punto cruciale. Lo ricordavo, è sempre qui. Sembra una risaia ma il suo terreno è secco. Lo attraverso dal basso, sono ormai in mezzo al nulla, la civiltà è cosa ben diversa dalla ricerca della pace interiore.

Mediterraneo,

descriverti è banale,

la tua potenza è invalicabile,

il tuo vigore ci protegge,

dalle invasioni del superficiale.

Mediterraneo,

solo in te noi crediamo,

nel tuo specchio ci rigeneriamo,

e mentre t’ammiriamo,

fortificandoci cresciamo.

Non ci credo. È successo. Hanno costruito delle piccole strutture ricettive e hanno recintato col filo spinato tutta l’area. Maledetti turisti, sono sempre loro la causa dello snaturamento del paesaggio. Cerco un altro varco. Comincio a sudare, la maglia è già inzuppata, gocce sgorgano dalla stempia fino al collo. Sono contento volevo esattamente questo. E poi lo stadio primordiale si rianima in questi contesti mentre s’esalta l’anarca jüngeriano, che ricerca il fuoco della vocazione, la profondità sacrale della vita, che solo il contatto con l’ignoto può dare. Ma è tutto setacciato di filo spinato. Arrivo fin su, cerco una strada che non c’è. Devo tornare, è già finito. M’inebrio di ciò che ho potuto, il paesaggio a rientrare è comunque un’altra fonte di munificenza. Il vento ti asciuga il viso mentre dà linfa allo spirito. Il colore della terra diventa quello della pelle, le movenze del corpo s’affinano a quelle della vegetazione. È in questi momenti che si diventa elementi, parte d’un insieme che include ogni cosa e annulla ogni forma di tempo in un eterno presente.

Mediterraneo,

biblico come l’Avanti Cristo,

nulla è più avvolgente,

della tua forma,

mutevole e perenne.

Mediterraneo,

senza di te buio,

sfacelo e rovina,

nel tuo abbraccio ci consoliamo,

fieri di ciò che siamo.

Vado a salutare la marna che ammalia d’un bianco abbacinante. Sparuti gruppi di persone fanno festa, con panini e vini. Delle signore euforiche si selfano, due giovani limonano sotto la dogana abbandonata. Un paio di coppie di turisti sono già in costume coi loro corpi malleati sulle rocce ondulate. Siedo al centro, il panorama è magnifico, scovar parole mi par riduttivo. Odo i sensi, la eco dei miei stessi pensieri, il rimbombo del corpo inebriato da tutto questo capolavoro, che nessun’arte né intelligenza potrà mai emulare. La natura, solo la natura può rendere l’anima immortale.

Mediterraneo,

sei la vocazione,

contro il grigiore dell’avversione,

nulla può eguagliare,

il tuo essere ancestrale.

Mediterraneo,

sii per noi il cielo,

come già sei per noi il Padre,

a te tutto dobbiamo,

a te solo invochiamo.

Girgenti - 25 aprile 2023

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Written by Blasco da Mompracem

Un blog dedicato alla scrittura e alla letteratura di viaggio

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