Ritorno all’Esseneto. Civis Agrigenti Sum!

Blasco da Mompracem
7 min readApr 2, 2023

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È una domenica d’aprile di quelle grigie e un po’ pigre, dove la temperatura stimola a tirare fuori finalmente la giacca di pelle ma il cielo rimane plumbeo e avvolto d’un’ampia cappa umida, senza forature di sole. M’avvio per il Viale della Vittoria, dopo un gran pranzo luculliano che solo le domeniche familiari in Sicilia sanno offrire. La facciata rimessa a fresco della Stazione Centrale riecheggia la maestosità razionalista di questa città che fu. Mi incontro col Professore Gaetano Gucciardo, grande esteta calcistico a cui avevo promesso che presto sarei tornato allo Stadio - dopo molto tempo - vista la forte affinità intellettuale che condividiamo per i libri e, anche e in particolare, per quelli calcistici. Siamo in tre, c’è anche sua moglie Daniela pronta a supportare il Gigante. Ci avviamo per i quartieri di Callicratide/Manzoni attraverso delle stradine intricate di vicoli e scalinate che non conoscevo, i quali richiamano alla mia mente la Genova di De André o la Napoli dei Quartieri Spagnoli prima dell’avvento dell’omologazione turistica lonelyplanetista. Non si finisce mai di conoscere la propria città, soprattutto adesso che di mestiere faccio l’esploratore dei miei luoghi. Eccolo lì il Littorio, lo Stadio voluto dal Duce a metà degli anni Trenta per sviluppare il senso di agonismo e atletismo nelle nuove leve e prepararle alla virilità in contrapposizione alla flaccida mollezza progressista tesa allo sbandamento e all’annientamento dei corpi. Dopo la guerra il nome dello stadio mutò in Esseneto, in omaggio al grande atleta nostrano che partecipò ai giochi dell’Antica Grecia nel V secolo a.c. C’è movimento sulla piazza antistante, gente dalle sciarpe bianco-azzurre e giallo-verdi, flussi che si muovono in diverse direzioni. Una certa euforia pervade l’atmosfera, molto contagiosa anche se manca ancora un’ora al fischio d’inizio. Sono più passati più di vent’anni dall’ultima volta che sono entrato in questo stadio.

Alcuni scorci delle stradine che conducono alla Stadio da Via Callicratide

Era il 2000, o forse il 2001. Non so non ricordo, non ho voglia di cercare sul web. Giocammo in una serie sperduta contro l’Igea Virtus di Barcellona Pozzo di Gotto. Loro dovevano vincere per salire di categoria, noi dovevamo vincere per salvarci. Stavamo uno a zero per noi, poi loro pareggiano a tempo scaduto con un gol in palese fuorigioco. Noi retrocediamo, loro non salgono, pari inutile per loro, fatale per noi. Inizia una rissa feroce, con i tifosi che entrano in campo e picchiano i giocatori. Viene assaltata la tifoseria avversaria, inseguito e preso a pugni l’arbitro. Interviene la polizia, io scappo e me ne vado. Quella partita finì pure su Striscia la Notizia, arrestarono diverse persone mi sembra, o gli diedero il Daspo o cose del genere. Di lì a poco lasciai Agrigento, andai a studiare fuori, non avevo neanche diciott’anni. Ero un ragazzino, acerbo e impaurito dal mondo. Non ne volli sapere più niente dell’Akragas da allora, eppure negli ultimi tempi sentivo i boati del pubblico nelle domeniche pomeriggio arrivare fin a casa mia, proprio in quelle poche ore pomeridiane in cui mi riesco a dedicare allo studio con il computer spento. Una sorta di richiamo ancestrale ha cominciato a manifestarsi in forma embrionale. Dalla finestra ho iniziato a spulciare l’Esseneto, su internet a informarmi vagamente, così quasi per curiosità. Siamo in Eccellenza, girone A, Sicilia Occidentale. Siamo primi a tre giornate dal termine a pari merito con l’Enna, e questa domenica c’è proprio la squadra della città del centro Sicilia che viene a giocarsi la promozione. Chiamo Gaetano a inizio settimana, «andiamo» gli comunico, «ci sono!».

Con Geatano e Daniela

La città sembra impazzita da un paio di giorni a questa parte, ovvero da quando è stata proclamata Capitale della Cultura 2025. Adesso son certo che ai miei eventi letterari venderò molti più libri, che la mia comunità rileggerà Pirandello e Sciascia in maniera ossessiva, che si staccherà dalla genuflessione sugli smartphone per prediligere quella sulla carta. È una bella emozione essere qui. La tribuna coperta, dove sediamo, e la curva di fronte a noi sono piene zeppe, anche lo scompartimento dei colorati tifosi ennesi è colmo. Non male per una partita di Eccellenza, ci saranno quattro o cinquemila spettatori. Chiacchieriamo con Gaetano di grande calcio letterario: io rimembro Osvaldo Soriano, lo scrittore argentino che mi ha fatto reinnamorare del football una decina d’anni fa, e Carlo Petrini, l’ex calciatore degli anni Settanta che ha sputtanato tutto il sistema-calcio dalle scommesse al doping passando per la vita lussuosa dei giocatori fatta di macchine di lusso e depravazione sessuale. Lui richiama il libro Selvaggi e sentimentali del grande scrittore spagnolo Javier Marías, recentemente scomparso, e alcune citazioni letterarie sull’Olanda di Crujiff. Ci siamo però, le squadre entrano in campo, le tifoserie offrono uno spettacolo degno di una categoria superiore: ammalianti fumogeni bianco e azzurri dalla curva sud, rimandi jamaicani invece dal settore dei tifosi dell’Enna giallo-verdi che sventolano un bandierone con la pampina di marijuana al centro e la scritta ANNEBBIATI sotto. Il pubblico è in visibilio, la tensione si taglia cogl’occhi. C’è il salto di categoria in ballo, il calcio è l’unica religione che non conosce atei.

I tifosi dell’Enna
Coreografia della curva dell’Akragas

FIGLI DELLA VALLE è lo striscione egemone sotto la curva agrigentina. Un richiamo all’eternità di questa terra, all’orgoglio di questo popolo e alla fame di calcio, successo e gloria che questa città, e tutto il Sud, meritano. Non conosco neanche il nome di un calciatore in campo. Gaetano invece li conosce tutti, chiedo ogni tanto chi è quello e chi è l’altro, prendo appunti e memorizzo. Un tizio però scorazza sulla fascia sinistra, giusto sotto di noi, con una padronanza tecnica non proprio da Eccellenza, è l’italo-marocchino Mohamed Mansour: fortissimo e imprendibile, le sue movenze magrebine mi ricordano subito le adrenaliniche prestazioni del Marocco allo scorso mondiale in Qatar. È proprio lui, per uno strano destino legato all’Islam e al Mediterraneo - due dei miei campi di studi prediletti - che, dopo appena cinque minuti di gioco, coglie un bel lancio da centrocampo e sfodera un gran sinistro al volo dal limite dell’aria che s’infila all’angolino. Uno a zero e partita in discesa mentre il sapore di serie D si fa sempre più intenso.

Non c’è il VAR in Eccellenza. Il gol è subito valido, la tecnica ultraliberista demolitrice dell’emozione fortunatamente non è ancora arrivata in questi campi di provincia così romantici e antimoderni. I giocatori portano sulle spalle ancora la numerazione dall’1 all’11 e non hanno le braccia tutte ricoperte di tatuaggi. Ed è domenica pomeriggio, non venerdì sera o sabato alle 18 o lunedì alle 21. Tutto come un tempo, manca solo la radiolina per ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto con la voce granitica di Sandro Ciotti che interviene da San Siro per dirci Nicola Berti ha portato in vantaggio l’Inter contro l’Ascoli. È tutto come sempre, come l’ho lasciato vent’anni fa, con la città moderna che si sviluppa alle spalle dello stadio: vedo la finestra di casa mia aperta; la decadenza di Villa La Loggia con la vegetazione che ne assale il tetto; le fronde di alberi davanti la Castagnolo che si muovono impercettibilmente, ma costantemente, di fronte a noi; le sagome di quegli edifici abbandonati e forse mai utilizzati a Pizzale Ugo La Malfa, di cui non ho mai compreso la funzione, che emanano grigiore e asetticità. È tutto magnifico perché è tutto eterno, e mentre scorre il match mi rendo conto che la vera forza virtuosa è nel radicarsi e non nell’andare, è nel restare e non nell’errare.

Colpo d’occhio all’Esseneto

L’Enna è una squadra tosta, massiccia e rocciosa. Sono ancora imbattuti in campionato dopo ventotto partite, ma si trovano di fronte il Gigante, mai così voglioso di rivalsa a riprendersi un palcoscenico più consono alla Storia di questa città. C’è un attaccante argentino tra gli agrigentini che però ha un nome slavo: Santiago Pavisich, si muove come può ma è goffo e legnoso, oltre ad avere una capigliatura alquanto bizzarra che mi ricorda dei ravers di quando bazzicavo tra i centri sociali molti anni addietro. Ma la difesa è una vera corazzata: non passa né lo straniero né l’ennese, acciaio inossidabile lì dietro, fortezza medievale inespugnabile, nessuna porosità, neanche una sbavatura in novanta minuti, anche quando l’Akragas rimane in dieci a metà secondo tempo per uno sciocco fallo del centrocampista già ammonito. Sicurezza militare da guardiani di frontiera, anche quando nella seconda parte di gioco gli ospiti provano con più insistenza si ha sempre la sensazione di avere la partita sotto controllo. E così s’arriva lentamente alla fine, e l’Esseneto può finalmente liberare il suo grido di gioia. Enna battuto e tutti festeggiare con la meravigliosa curva che non ha smesso di cantare e ondulare neanche per un minuto. Adesso due partite alla fine del campionato e tre punti di vantaggio proprio sugli ennesi. Manca davvero poco per la Serie D e chissà che non possa essere questo il trampolino giusto per tornare tra i professionisti proprio in quel 2025 quando la nostra città sarà Capitale della Cultura.

Contro il calcio moderno: Forza Akragas, Forza Gigante, Fieri FIGLI DELLA VALLE.

I festeggiamenti sotto la curva a fine partita

Roberto Bruccoleri - 2 aprile 2023

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Written by Blasco da Mompracem

Un blog dedicato alla scrittura e alla letteratura di viaggio

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