Sicilia da scoprire: Gibellina e il Cretto di Burri
Dall’entroterra richiama il ricordo sordo di quel terremoto che inginocchiò l’isola e fece conoscere all’Italia la Valle del Belice e le condizioni misere in cui vivevano i suoi abitanti. E’ l’anno del Signore 1968 e una mezza dozzina di paesi, siti a cavallo tra le provincie di Agrigento, Trapani e Palermo, furono interamente distrutti dalla forza incontrastabile della natura.
Il Belice è quella zona della Sicilia che è rimasta legata al magma della sua terra e i secoli sembra che vi siano passati davanti con disinteresse. Gibellina fu uno dei paesi che maggiormente furono colpiti dalla furia del terremoto. Dopo poco tempo ripartì la ricostruzione di questi luoghi, con scandali sugli appalti i cui strascichi arrivano fino ai giorni nostri. Ad ogni modo la ricostruzione seguì il passo dei tempi: abusivismo legalizzato, depredazione del territorio, cementificazione della vita, abbrutimento dell’anima.
Però Gibellina ebbe la fortuna di essere amministrata, per quasi quarant’anni, da un Sindaco visionario, Ludovico Corrao, che riuscì a dare una nuova luce alla storia del territorio, invitando grandi artisti dell’epoca a costruire opere nel paese per ridare vita a quel luogo abbandonato e malamente ricostruito dopo il terremoto. Nel giro di pochi anni si creò una sorta di museo d’arte contemporanea a cielo aperto, con opere a firma di artisti blasonati e di fama internazionale quali Consagra, Boetti e Pomodoro.
Seppur encomiabile e utopico, il progetto di Corrao non ha avuto nel tempo l’effetto sperato, le opere si sono trovate a contrastare con un luogo desolato e dall’atmosfera indifferente alla mondanità delle luci a cui erano abituati quei nomi. Ma la perseveranza si sa che alla lunga rivela l’essenza dello spirito e ricompensa la tenacia nella fede. Corrao chiamò anche lo scultore umbro Alberto Burri, artista di fama mondiale noto anche per il suo carattere poco amichevole. Fu portato a Gibellina Nuova a vedere le opere degli altri artisti, le disprezzò subito, trovandole banali e decontestualizzate. Chiese di vedere invece le rovine del vecchio paese, site a pochi chilometri da lì. Arrivando s’illuminò e si commosse, ebbe una chiamata vocazionale, sentì ribollire in sé la vena passionaria della creatività, dell’ambizione di fare qualcosa che mai nessuno aveva osato realizzare e tantomeno pensare. E’ il magma dello spirito, che riluccica nella profonda oscurità del nostro essere e brilla di fiamme visionarie. E’ quel sentimento ancestrale, ostracizzato dalla ragione e dalla certezza dei giusti comportamenti, che deve lottare contro chi non tollera lo sviluppo delle proprie capacità sensoriali e contro l’imposizione che solo l’uomo assoggettato al noto possa riuscire.
Ed è lì adesso, sotto gli occhi di chiunque voglia vedere, la più grande opera di land art al mondo. Burri adoperò una sepoltura totale dei ruderi del paese su stesso, ricostruendo su cumuli di gesso le forme centenarie della Vecchia Gibellina, di un bianco candido che il tempo ingiallisce e deteriora ma che tiene vivo in maniera perenne la fiamma della memoria. Il Cretto di Burri è uno di quei luoghi che difficilmente si riesce a descrivere con le parole ma che si deve vedere con l’anima e sentire con gli occhi, in un intrecciarsi di sensazioni che conducono verso sentieri scolpiti nell’eternità.