Tastando per il Suk - [Racconto breve]

Blasco da Mompracem
3 min readApr 9, 2020

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Medina di Marrakech

Avevo conosciuto Alì qualche giorno dopo il mio arrivo a Marrakech. Mi sarei dovuto fermare un mese nella sublime città rossa marocchina. Avevo firmato un contratto con una casa editrice per illustrare i racconti di Voci di Marrakech di Elias Canetti. L’anno dopo sarebbe stato il quarantennale dell’uscita dell’opera, e il suo storico editore aveva deciso di celebrare l’anniversario con una nuova edizione arricchita da un’illustrazione per ogni racconto; erano quattordici, ne avrei dovuto fare uno ogni due giorni.

Fu Alì che mi portò in ognuno dei luoghi dei racconti dell’opera. Come tanti suoi connazionali si era proposto di farmi da guida durante il mio girovagare per il suk, gli dissi che cercavo dei luoghi tratti da un libro. Avevo con me un foglio su cui avevo buttato giù degli appunti, tirai fuori anche il testo con le sue sottolineature. Sembrava interessato più alla casualità dell’evento che alla possibilità di aver trovato un affare. M’invitò a bere un tè seduti, così da poter capire meglio l’itinerario. Accettai.

Amava il suo popolo e la sua cultura, preferiva la precarietà di una vita di passioni nel suo paese alla stabilità nell’isolamento esistenziale da emigrato altrove. La mia richiesta, mi disse, era la più stimolante che gli avessero mai fatto da quando svolgeva questo lavoro.

Ogni due giorni ci incontravamo a Piazza Jamaa el Fna e ci dirigevamo verso i luoghi dei racconti. Nella sua narrazione trovavo lo stimolo per disegnare serenamente, la mano era sempre morbida, ferma e fiduciosa. Calcavo con più naturalezza, vedevo oltre la vista. Fu un lavoro perfetto, uno dei migliori della mia vita. Dovevo fare un regalo ad Alì prima di andare, se lo meritava.

L’ultimo giorno andai da solo alla medina deciso a trovare un presente per Alì. Cominciai a sbirciare tra le mille mercanzie esposte. Entrai in un negozio di tappeti, toccavo quei fusti arrotolati che trasmettevano forza e fatica; il mercante ne aprì alcuni, avevano un tessuto soave e delicato, la mano rimaneva secca dopo che la passavo su, mi presi del tempo. Vidi una bottega di lampade, anche lì entrai. Ve n’erano di migliaia di forme, a me piacevano quelle col cappuccio ed i vetri intarsiati; ne presi in mano una e la accarezzai, le dita attraversavano quei sentieri che davano forma all’oggetto, nella mia mente si accendeva la visione dell’artigiano cupo sulla lampada col suo attrezzo a plasmarne la forma. La parte in ferro era fredda, quella in vetro più mite, il loro fondersi dava equilibrio a quel momento. Non mi convinse. Continuai errando.

Trovai un negozietto di cianfrusaglie, il titolare fumava seduto su una sedia all’entrata, mi salutò appena. Cominciai a sbirciare dentro le casse polverose. Vecchi giocattoli monchi, un accendino usurato dal tempo, degli attrezzi da cucina logori, spille militari con il logo slavato, oggettistica varia a cui non sapevo dare un nome. Poi toccai qualcosa di ruvido e ondoso, come delle squame di pesce ma solide, era quadrato, lo estrassi. Era un portasigarette con una rivestitura che luccicava. Lo aprii. Agli angoli v’erano ancora granelli di tabacco, l’elastico che doveva tenere le sigarette era allentato. Il negoziante si mosse, mi guardò e mi disse che era appartenuto ad un generale inglese negli anni Trenta. Nel mentre lo giravo tra le mani, era levigato con maestria, infondeva storia e storie, col mignolo ne circumnavigavo i bordi. Contrattai. Non feci un’affare. Ma mi piaceva l’idea che era appartenuto a un vecchio soldato della Regina. Che fosse vera la storia non importava, in Marocco è tutto sospeso tra leggenda e verità, ma avevo il regalo per Alì.

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Written by Blasco da Mompracem

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