Saggistica di viaggio: “Turismo di massa e usura del mondo”. Una recensione

Blasco da Mompracem
4 min readDec 4, 2019

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Ho da poco letto il saggio di Rodolphe Christin Turismo di massa e usura del mondo, edito da Elèuthera. Un libro necessario per comprendere l’essenza dei flussi turistici di oggi, ormai divenuti una vera e propria invasione/ossessione da parte sia di chi ne usufruisce sia di chi ne riceve il vantaggio economico.

Il turismo di massa è visto dall’autore come una conseguenza dell’idea, anzi dell’imperativo, dell’ipermobilità, una condizione degli individui che si sottomettono al capitalismo fluido e flessibile. Una critica feroce che parte dal capitalismo, il quale sostiene la mobilità perenne perché amplia la concorrenza, per arrivare al turismo contemporaneo, ridotto a comfort, relax e al nulla d’intralcio al proprio piacere individuale. Un fenomeno che ha mutato drasticamente la forma del viaggio, facendolo passare da una prova fisica e psicologica, fatta di coraggio, audacia e umiltà, a un piacere edonistico stimolato dalla noia. Dal viaggiatore sperimentatore esistenziale al turista trasformato in consumatore geografico. Un turismo ormai rivolto solo a sé e non all’altro. Un turismo mondofago (uccide ciò che lo fa vivere, distrugge il mondo che dice di amare), che segue solo finalità economiche e non più filosofiche, una realtà organizzata interamente intorno al consumo. Quella che Houellebecq chiama l’economia della frustrazione, espressione di una costrizione e di una mancanza, che ignora la dimensione interessata e pilotata della relazione tra il turista e chi lo ospita. Un mondo ridotto a un palcoscenico scenografico in una società che sembra trasmettere l’idea che senza l’atto del partire non sia possibile vivere in maniera gioiosa. Un turismo che si alimenta del mal di vivere quotidiano e che rende la natura un mondo a parte posto sotto il segno dell’esotismo. Un turismo che vende l’evasione ed elimina la sacralità , che del viaggio è sempre stata la sua forma trasformatrice. Il viaggiatore di oggi è un conformista e muoversi è diventato banale, perché è la condizione normale del flusso a capitalismo globale.

Rodolphe Christin - Turismo di massa e usura del mondo

Un attacco al turismo di massa duro ed estremo. Ma anche un inno a tornare a ricercare la parte più spirituale del viaggio, data dall’avventura e dall’ignoto. Pensare a ciò che affrontavano, e ci descrivevano, autori come London e Terzani nei loro viaggi, e poi pensare ai bloggers/backpackers di oggi, fautori di un nomadesimo vacuo, banale e sradicante, che con la loro intenzione di influenzare offendono la memoria e l’autorevolezza della grande letteratura di viaggio, da Omero a Paul Theroux, da Marco Polo a T.E.Lawrence.

Christin è una voce isolata, e minoritaria, nel ristretto panorama della saggistica turistica. Ma non è il solo, e non sarà l’ultimo. Come non citare a proposito di un altro saggio di Scienza Turistica: Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo del Prof. Marco D’Eramo, uscito pochi anni fa per Feltrinelli. Altra opera che smonta ogni mito fondante dell’industria turistica contemporanea, con location piene di storia e civiltà diventate luna park , turisti che guardano turisti, omologazione di itinerari e annullamento della spiritualità.

Opere, le suddette, che dovrebbero essere fatte leggere sia agli operatori di settore, che non sono pochi, sia al cittadino comune. Ai primi per fargli comprendere che le cose stanno cambiando rapidamente e le conseguenze (tragiche) sono sotto gli occhi di tutti, ai secondi per fargli apprezzare maggiormente ciò che hanno intorno e fargli capire che viaggiare non risolverà i propri mali. L’unico viaggio a cui dobbiamo ambire è quello dell’alimentazione dei legami quotidiani e della propria spiritualità. L’unico viaggio possibile è quello, come diceva Céline, che va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai.

Per chiudere lascio un passo dell’opera di Christin, sperando possa stimolarne la lettura e il dibattito sul tema che, prima o poi, si dovrà affrontare seriamente se davvero vogliamo salvaguardare la nostra vita e il pianeta in cui viviamo.

In un mondo così turisticizzato, non è più possibile alcuna ospitalità nei confronti del viaggiatore. Il turismo ha sancito la fine della tradizione di accoglienza, di quel dono consuetudinario, talvolta aleatorio, riservato allo straniero. Alle usanze popolari si è sostituita una panoplia di alloggi commerciali, più adatta ad accogliere una clientela regolare che si muove in massa all’interno di una logica consumistica. Il che ha reso necessaria anche una professionalizzazione degli interlocutori in modo da garantire la qualità del servizio. Se il viaggiatore che arriva in una realtà locale era un’eccezione, e per questo poteva godere di un’accoglienza personalizzata basata sull’etica dell’ospitalità, il turista, che oggi si sposta all’interno di una logica che governa i flussi, esige in quanto cliente un’accoglienza calibrata sulle proprie aspettative prettamente turistiche. Il viaggiatore, invece, arriva (e sarei tentato di usare il passato) in punta di piedi, conscio di essere accolto in via del tutto eccezionale. E deve essere non solo rispettoso ma anche cortese, evitando i comportamenti inopportuni che oltretutto potrebbero mettere a rischio la sua sicurezza, soprattutto in un contesto che non ha bisogno di lui. Il viaggiatore è considerato una personalità singolare e rara ed è accolto dal suo ospite con curiosità e interesse, mentre il turista è solo l’ennesimo visitatore di una torma senza fine. Sopportare questi flussi sarebbe psicologicamente stancante ed economicamente insopportabile se non ci fosse un vantaggio economico in cambio. Il che rende l’incontro non interessante ma interessato.

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